PREMESSA: avendo l’anno scorso trattato Rimini e la Riviera Romagnola e avendo parlato dei relativi elementi di crisi, ora che si parla di turismo balneare in Europa viene naturale allacciarsi ai competitor dell’adriatico. E quindi dei Paesi dell’ex-jugoslavia in primis. Che sono anche quelli che per ovvi motivi entrano in competizione anche con la costa veneta (Jesolo, Caorle e via dicendo) e che con il Veneto sono anche così culturalmente collegati (soprattutto ovviamente le relative parti costiere: Istria, Dalmazia …). Qua quindi affronteremo questi Paesi analizzandone però il solo turismo balneare.
Partiamo ovviamente dalle premesse storiche del turismo attuale, ovvero di come era gestito nella ex-Iugoslavia. Ed in quell’epoca l’industria turistica era gestita quasi interamente dallo Stato. D’altronde si parla di un Paese nato come Paese comunista sebbene in seguito si sia poi distaccato dall’URSS e dal Patto di Varsavia. L’iniziativa privata era ammessa, ma soltanto a patto che non travalicasse la dimensione familiare. Inoltre seppur il turismo fosse importante in alcune regioni, soprattutto per quella che diventerà l’attuale Croazia, la “Iugoslavia” era comunque un Paese “lontano” e poco integrato nell’economia dell’allora CEE. Come si diceva la Iugoslavia inizialmente (alla fine della seconda guerra mondiale) rientrava nei paesi del Secondo Mondo sebbene ben presto la politica di Tito la portò tra i Paesi non allineati facente parti del cosiddetto Terzo Mondo.
https://it.wikipedia.org/wiki/Movimento_dei_paesi_non_allineati
Agli inizi degli anni ’90 la deflagrazione della Iugoslavia (Paese il cui nome significava letteralmente “terra degli slavi del sud”) ebbe tra gli effetti collaterali il totale black-out del turismo. La guerra fu dura e si protrasse nel tempo, dal 1991 al 1995, con strascichi tutt’ora evidenti. La carta vi illustra la suddivisione etnica all’interno dell’ex Iugoslavia. Solita premessa sulla difficoltà di definire un’etnia.
Così da quell’unico Stato si passò all’attuale suddivisione tra le varie “nazioni”, suddivisione che fu prodotto proprio su basi etniche (o per lo meno per quanto possibile su base etnica).
Parlare di turismo in quel contesto è non solo riduttivo ma quasi fastidioso. Certo è che quel patrimonio che attirava turisti ma che aveva anche un estremo valore culturale e simbolico subì ingenti danni. Come esempio di distruzione del patrimonio storico-artistico, che ovviamente non è stata la parte peggiore del conflitto visto l’alto numero di perdite in vite umane, si può citare un ponte. Il ponte di Monstar
Il ponte di Mostar distrutto durante la guerra è l’emblema stessa della guerra.
Questo video in “presa diretta” vi illustra la drammaticità della situazione
Il ponte è sicuramente il simbolo più rappresentativo della città di Monstar ma in certo qual modo lo si può estendere all’intera ex Iugoslavia. Questo aprescindere dalle ricostruzioni “televisive” occidentali. Durante il conflitto serbo-bosniaco (1993-1995) la televisione occidentale aveva contribuito a diffondere l’idea che lo Stari Most (il ponte di Monstar) attraversasse la linea di separazione tra le due parti della città, quella a maggioranza cristiana e quella a maggioranza musulmana. In realtà il fronte vero e proprio non è mai passato per il ponte: la linea rossa era infatti rappresentata dal boulevard, un largo viale che si trova poco fuori la città vecchia.
Ma quel ponte aveva un estremo valore simbolico, era stato commissionato dal sultano Solimano il Magnifico nel 1557 per rimpiazzare un vecchio ponte sospeso di legno, piuttosto instabile. Era quindi il frutto della dominazione ottomana contro cui avevano combattuto principalmente i serbi di religione cristiana.
Le guerra nell’ex Iugoslavia ha tanti lati oscuri ma sulla distruzione di quel ponte siamo ben informati. Durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina (1992-1995), le forze secessioniste croate combatterono contro le forze governative bosniache e, il 9 novembre 1993, distrussero il ponte. Prima di questo evento, esso era già stato fortemente danneggiato nel 1992 dai bombardamenti attuati dai serbi. Entrambe le fazioni, sia la croata che la serba, vedevano un simbolo nel ponte e nell’area storica nelle sue vicinanze, una parte integrante della cultura bosniaca, da distruggere in quanto tale (e infatti anche prima della distruzione esso venne ripetutamente preso di mira.Finita la guerra poi avvenne la Ricostruzione. Il ponte, incluso recentemente nell’elenco dei Patrimoni dell’umanità, venne ricostruito sotto l’egida dell’UNESCO. Le sue 1.088 pietre vennero lavorate secondo le tecniche medievali. Il lavoro di ricostruzione costò circa 12 milioni di euro finanziati da aiuti internazionali. L’Italia fu il maggiore finanziatore, e almeno di questo possiamo esserne contenti. Lo Stari Most è stato riaperto il 22 luglio 2004 e celebrato come simbolo di riconciliazione fra le comunità cristiane e musulmane dopo gli orrori della guerra.
Ad ogni modo al di là dei singoli luoghi martoriati dalla guerra, con la fine dei conflitti si affacciarono nuovi Stati indipendenti sul palcoscenico europeo. Non senza difficoltà, come dimostrarono i bombardamenti NATO sulla Serbia e le difficoltà che si protrassero e che ancora oggi si protraggono, nei rapporti internazionali (sebbene l’UE cerchi da fare da intermediaria e di sviluppare relazioni politiche commerciali tra Paesi le cui relazioni sono tese. per esempio Albania e Kossovo da una parte e Serbia dall’altra. La costruzione di un’autostrada europea (con fondi UE) che attraversa questi Paesi è un esempio di tali politiche atte a creare premesse concilianti dovute a comuni interessi. Fin quanto durerà (l’UE) diciamo che il recente momento pone grossi dubbi.
In ogni caso con l’indipendenza delle repubbliche adriatiche della ex-Iugoslavia, divenne impellente, per ravvivare le economie prostrate dal conflitto, la necessità di ripristinare l’industria turistica, assegnando, nella ripristinata libertà, un ruolo fondamentale al privato e alla capacità di attirare investimenti stranieri. Questi non potevano che puntare (tra le altre cose) sul turismo.
Dei quattro ex-Stati della ex-Iugoslavia che si affacciano sul Mediterraneo, ovviamente chi ha puntato più di tutti sul turismo balneare come da tradizione e vocazione, è stata ovviamente la Croazia. Sotto il profilo del turismo balneare, la Bosnia-Erzegovina con i suoi appena 11 km di costa risulta essere ininfluente per il turismo. Anche la Slovenia possiede un litorale poco esteso ma la sua propensione a proporsi come destinazione turistica l’ha portata a dar visibilità anche alla sua limitata fascia costiera. Incominciamo quindi da qua.